B. Sascha Horowitz
“L A B U S S O L A”
Schema di riferimento possibile quando si è alla
ricerca della propria elevazione qualitativa:
questo logo verrà approfondito più avanti nel testo,
mentre per cominciare:
“La Strada la si costruisce strada facendo”
(vecchio detto rabinico)
I. “La Bussola” (vedi il logo iniziale) è proposta come possibile strumento di
riferimento che può servire ad orientare, ri-orientare, sostenere il nostro “percorso vita”
e verificare il punto attuale di collocazione all’interno della nostra ricerca esistenziale ed essenziale.
Un mezzo semplificato, come d’altronde lo è una vera bussola, senza dimenticare che è uno
strumento utile per ritrovarci nell’ambito della “Rosa dei Venti del nostro destino”, a cui da una parte ci destiniamo tramite svariate operazioni personali per così dire sin dalla nascita, in modo consapevole, meno o affatto, mentre dall’altro lato troviamo ciò che il nostro percorso ci invia, spesso senza poter interferire con la nostra volontà, perché trascesa dagli eventi e senza che se ne conosca “né il mittente, né la destinazione”.
Questa “Bussola-Logo”, il cui cerchio dovrebbe essere tratteggiato alfine di permettere lo scambio bidirezionale esterno/interno e viceversa, ma che per ragioni tecniche non mi è stato possibile realizzare, si presenta come una ruota.
La si potrebbe immaginare anche come una “medaglia” con tre facciate, di cui la terza, essendo quella che circonda lo spessore, è solitamente dimenticata ma altrettanto importante.
II. Durante questo commento mi occuperò in particolare della facciata visibile e lascerò in buona parte al lettore interessato il compito di elaborare il significato dello “spessore e del
risvolto della medaglia”. (Ne ho parlato d’altronde nella monografia “Lo Scudo”, il numero 27 dell’Indice.)
Mi attarderò quindi sulla “bussola/ruota/medaglia”, che va interpretata in movimento, che gira: gira così come “gira la vita”, quella interiore e relazionale, come girano il nostro globo terracqueo, il sistema solare e quello galattico, nonché tutte le altre galassie vicine (si fa per dire!) o stralontane (si fa pure per dire).
Espresso diversamente, si tratta del microcosmo e del macrocosmo di cui facciamo parte e che al tempo stesso siamo, perché senza tutte le sue parti noi compresi, l’Universo evidentemente non sarebbe sé stesso, non sarebbe ciò che è quindi, almeno secondo il mio parere, non siamo né più né meno significativi di qualsiasi altro fenomeno universale, checché se ne possa pensare e/o dire…
La Bussola bidimensionale, presenta al tempo stesso un’interiorità con un centro: il contatto con noi stessi, le nostre esperienze: fatte di sensazioni, sentimenti, emozioni, pensieri, contenuti mnemonici, sogni ad occhi chiusi e aperti, progetti, aspirazioni, ambizioni, utopie e quant’altro.
Centro attorno al quale la ruota gira, tant’è che in definitiva i due aspetti, il difuori e il didentro risultano “un tuttuno”, perché si tratta sempre della medesima “bussola-ruota-medaglia”, sempre di noi stessi immersi in questa vita che gira in un perenne viavai.
In astrofisica si ipotizza attualmente un Universo “oscillante o pulsante” e forse degli “Universi paralleli”, a parte il fatto che accanto a noi esistono degli “universi paralleli” composti da conte-nuti per noi o per altri inaccessibili.
Basti pensare a certi “territori” come quelli delle Lingue, Scienze, Arti, Filosofie, Religioni, Usi e Costumi e tant’altro, che per la maggior parte delle popolazioni mondiali rimangono “universi paralleli” che scorrono allato delle nostre vite, sconosciuti, occulti, insondabili, impercorribili!
III. Abitualmente siamo collocati e circoliamo prevalentemente in superficie, all’esterno, in periferia, cosa di cui siamo più o meno, spesso meno che più consapevoli: poco o affatto attenti al perno, al centro, all’asse, all’essenziale, al nostro potenziale creativo che si tratta invece di ossequiare, non fosse che per “le piccole cose che” (come diceva Teilhard de Chardin, paleontologo e teologo gesuita del secolo scorso), “Non si tratta di fare grandi cose, ma delle piccole grandemente” (“Il ne s’agit pas de faire des grandes choses, mais des petites grandement”)
La creatività va forse particolarmente rispettata e stimolata perché sembra essere uno dei pilastri
della Vita Universale: senza creatività e quindi trasformazione permanente a tutti i livelli dell’
esistenza, la Vita potrebbe sussistere?
Solitamente siamo poco o affatto attenti alla nostra autenticità, alle nostre qualità costruttive intrinseche tipicamente umane, perché ci creiamo delle sovrastrutture, meno dediti a un modo diverso di essere, diversamente qualificante di quello abituale, che solitamente si svolge in termini dispersivi o formali, spesso molto ripetitivi, quasi meccanici, determinati da usi e costumi etnici inalienabili, nonché da dogmi di vario tipo: restrittivi, limitanti, fissi nel loro immobilismo, in definitiva banali.
Banali perché quasi esclusivamente composti da aspetti che cadono sotto i sensi, superficiali e spesso di seconda mano, ripresi da terzi, magari senza verifica.
Come affermarono alcuni fisici americani di punta già nel primo dopoguerra: “viviamo prevalentemente il rovescio del diritto”, con tutte le conseguenze che ciò comporta, ossia in stretto, quasi esclusivo contatto con le cose concrete, tangibili, misurabili, quelle in cui ci si imbatte facilmente nei “sobborghi” della nostra esistenza.
Quelle che sono più facili da conseguire e conservare, che almeno a breve termine ci offrono maggior impressione di pienezza e sicurezza, come la strafamosa triade seduttiva di “fama-possesso-potere”, che tende poi a sommergerci, sommergendo il centro, l’essere, l’aspetto qualitativo, facendolo spesso scordare a favore dell’aspetto quantitativo (non: “che qualità hai conquistato”, ma: “quanto hai conquistato”?)
Quel centro/perno/asse essenziale attorno e a partire dal quale la nostra vita gira o dovrebbe girare tanto che, una civilizzazione come la nostra, quasi senza accorgersi, tende ora
a precipitare nella perversione generalizzata, dove i valori essenziali vengono pervertiti al punto che per finire “si fa di vizio virtù”, in modo tale che si è giunti addirittura a “legalizzare la perversione”, vivendo nell’illusione che questa sia “…la diritta via…” !
IV. Quindi perdiamo facilmente “il Nord”, ossia i punti di riferimento fondamentali, trascurando le principali qualità che l’essere umano, nonostante tutto, è capace di attuare.
Trascurandole rischiamo di scivolare nell’area degli “stati inferiori” (negli “Inferi”, leggi pure
“Inferno” nel senso dantesco del termine), dove in ogni modo sul lungo termine produciamo innumerevoli inquinamenti, inutili complicanze, difficoltà, sofferenze per gli altri e noi stessi, perché tutti siamo a turno autori, attori e spettatori di questo spesso sconfortante “circo terrestre”, dove sembriamo particolarmente dotati per promuovere un’intensa rotazione di malessere, facendo girare la ruota della vita in contromano.
V. Questo controsenso, spesso nonsenso, non lo si riesce a padroneggiare fintantoché non si comincia ad “invertire il moto della ruota” (trasformando “il rovescio in diritto”, ossia la “noia prodotta dalla banalizzazione in metanoia”), o detto con altre parole: a modificare il nostro punto di vista, il ripensarlo ed agire di conseguenza.
La Bussola potrebbe quindi servirci a ricordare e ritrovare le dimensioni umane edificanti: come accennato il “Nord”, la “Stella Polare”, il “Dilettoso Monte” , o come definir si voglia questo processo di ripristino ben direzionato di una autentica e non fasulla, superficiale cultura umana.
Quest’ultima ci viene ormai offerta ben commercializzata ad ogni angolo di strada, mentre il progetto umano edificante è scomodo da assumere e solitamente una minoranza soltanto lo impugna veramente.
VI. Sulla sigla proposta, si può trovare un cerchio esterno in verde che rappresenta la superficie, la nostra parte “epidermico-sensoriale”, la “periferia” che stabilisce il contatto con la natura, il mondo, gli altri, le cose: premessa irrinunciabile per la nostra sopravvivenza.
Questo contatto può creare situazioni che da una parte riescono a promuovere la nostra evoluzione (che non significa necessariamente “miglioramento”, ma principalmente mutamento), la nostra elevazione qualitativa, ma dall’altra parte può indurci facilmente a perseguire la direzione opposta, quella della nostra involuzione, del nostro degrado.
VII. All’interno di questo sottile cerchio troviamo la scritta “V.I.T.R.I.O.L.V.M” (taluni si fermano a V.I.T.R.I.O.L. , altri interpretano la V finale come una U e tra poco cercheremo di chiarire la differenza), ma comunque sia, essa si trova in verde nel cerchio giallo e rappresenta noi stessi come possibilità cognitiva, operativa, spirituale.
Ma così come per l’uso dei medicinali, potrebbe essere utile aggiungere una nota con le “avvertenze” che volendo, si potrà rettificare e/o completare strada facendo, sulla base del proprio raccolto cognitivo, delle esperienze personali consapevolizzate.
D’altronde e per inciso, l’espressione “vivere consapevolmente” contiene quel con-sapevol-
mente, termine significativo che sta a precisare che “con- il vivere possiamo trovare pure
la –mente, ossia la capacità di misurare, soppesare, valutare, capire ciò che abbiamo in un primo tempo soltanto as-saporato (as-saggiato) e da dove potrebbe poi scaturire la Sapienza, la Saggezza.
A proposito conoscete/ricordate forse l’aforisma Zen spesso utilizzato per descrivere questo processo:
“All’inizio le montagne sono montagne, i fiumi sono fiumi e i laghi sono laghi;
in un secondo tempo le montagne non sono più montagne, i fiumi non sono più fiumi, i laghi non sono più laghi;
in un terzo tempo le montagne sono di nuovo montagne, i fiumi sono di nuovo fiumi, e i laghi sono di nuovo laghi”.
La sigla citata rappresenta tra l’altro la nostra ricettività interiore, la speranza nel rinnovamento,
nel cambiamento, poiché è la sigla che c’invita ad intraprendere dapprima l’itinerario del processo
cognitivo, poi quello trasformativo, ossia operativo ed infine quello del perfezionamento:
“V. I. T. R. I. O. L.V. M”
Per inciso, si tratta molto probabilmente di una creazione dei veri “Rosacroce” del 17° secolo, che si trova per la prima volta in un testo del 1613 apparso a Francoforte, (mentre nei tre anni successivi vengono pubblicati a Strasburgo e Kassel (tre città allineate sull’asse Nord-Sud, all’incirca a pari distanza l’una dall’altra!) i seguenti testi:
“la Fama Fraternitatis, la Confessio Fraternitatis e le Nozze di Christian Rosencreutz”,
tutti testi ad alto tenore riformista, umanista, universalista ed esoterico, secondo il mio modesto
parere di autentica estrazione iniziatica.
Va sottolineato però che qui non si tratta delle varie correnti di “pseudorosacroce” contemporanei
(mi permetto di chiamarli così, perché ne sono convinto, anche a costo di sbagliarmi) che, anche se si presentano come “rosacrociani”, con i primi hanno molto probabilmente ben poco in comune
salvo la denominazione, con la tendenza come altre imprese contemporanee più che altro strava-
ganti (per intenderci del “New Age”), ad essere infettate dalla mania di voler essere originali e
dalla loro espansione di tipo commerciale.
VIII. Se mi sono dilungato su questo punto è per sottolineare l’importanza, l’autorevolezza di questa successione di lettere a significato ermetico, che potrebbe diventare uno strumento di lavoro in grado di attivare il nostro processo evolutivo…e non soltanto per cominciare, bensì anche successivamente in qualsiasi momento del nostro percorso, sia per rinnovarlo, salva-guardarlo che perfezioarlo.
Una sigla di questo genere dovrebbe costantemente essere rivisitata e riattivata per mantenere la
sua qualità implicita, altrimenti rischia di rimanere congelata nel suo apparente formalismo, distanziandosi dall’operatività che potrebbe assumere nella nostra vita quotidiana, che richiede pur sempre una notevole dinamicità per potersi realizzare nella forma voluta.
Per più chiarezza articolo quindi questa sigla nelle sue tre (perfino quattro) fasi principali:
1.1
V. visita {visita, ricerca, scruta, indaga, esamina
I. interiora {l’interno, l’aspetto nascosto, invisibile
T. terrae {del territorio intimo, psichico, mentale
1.2
R. rectificandoque {e correggendo, trasformando i contenuti, qualora fosse necessario)
1.3
I. invenies {scopri, incontra, trova
O. occultum {l’occulta, la celata, nascosta
L. lapidem {pietra, quella filosofale, della saggezza
1.4
V. veram {vera, effettiva, reale
M. medicinam {salvezza, medicina, guarigione, oppure:“medicina universale”, se la V.
viene interpretata come una possibile U.
Quindi non una “cosetta” da poco…e, parafrasando il tutto più nel dettaglio, con i possibili, se-
guenti significati:
1.1 Penetrando nei meandri della propria interiorità (compreso il comportamento che ne conse-
gue), per esempio con l’introspezione, l’analisi dei propri pensieri e sentimenti, delle dinamiche
motivazionali, nonché dell’immaginario, sogni compresi, ma pure nei contenuti degli eventi cosid-
detti esteriori (che possono pur sempre avere un elevato valore “d’indizi”), si cercherà di capire ciò che si è osservato, per “conoscere sé stessi”, anche attraverso gli altri che spesso possono farci da specchio, perché conoscendosi meglio, a partire da una maggior consapevolezza, si potrà scegliere e decidere con più libertà quale via si desidera percorrere, modificare o abbandonare:
quella “della luce o delle tenebre”, “la diritta via” o quella “dei tiri mancini” , quella “dei cerchi
viziosi” oppure quella “delle spirali evolutive”, quella “costruttiva” o quella “degradante”.
Con le une si rischia di rimanere il gingillo dei propri impulsi primitivi, delle motivazioni inconsce
e spesso controproducenti, degli influssi imperativi, dei manipolatori esterni e di conseguenza ci si può facilmente “smarrire” (“…che la diritta via era smarrita…” Dante, Inf. I, 3), rimanendo o scivolando impercettibilmente nel regno delle “perfide sabbie mobili”, ossia quelle dell’Igno-ranza, dell’Odio e del Vizio, antitetici di “Sapienza, Amore, e Virtute” di cui sarà questione tra poco.
1.2 Se si decide di scegliere “la diritta via”, si hanno diverse possibilità per “rettificare” (ripristinare, rendere “diritto ciò che si è curvato, contorto”) le nostre debolezze e contraddizioni, gli spigoli e le dissonanze della nostra personalità, ragione per cui ci si può trovare di fronte a un bivio (meglio a un incrocio), con di fatto alcune, poche vie percorribili, tra le quali e come accen-nato, si tratterà di scegliere al meglio.
A questo punto ritengo di dover fare un inciso a proposito del “rectificandoque”, perché lo ritengo importante:
all’inizio del XVIII° secolo, un ramo delle maggiori correnti iniziatiche europee (per intenderci quella dei “Costruttori”, anche di Cattedrali!) ha trasformato la sua metodologia costruttiva da operativa (in cui si utilizzava l’arte edificante, anche come strumento per l’evoluzione spirituale) in speculativa, ossia simbolica, chiamiamola pure ideologica, e quindi astratta, di tipo prevalen-temente verbale (senza dimenticare che esiste sia il verbale esplicito che quello implicito).
Non è per caso che allora e soprattutto in un primo tempo “principi, duchi, marchesi e diversi
nobiliari, nonché tanti altri “non addetti ai lavori” hanno avuto facile accesso a questa corrente, diventando “maestri iniziati” perfino nel corso di una giornata.
Per fortuna questo “andazzo” si è poi modificato e con il passare del tempo si è riequilibrato, dando luogo in gran parte a dei percorsi iniziatici più validi!
Per esempio: nelle vie dello Zen si utilizza diverse arti come vie operative (sia marziali che non…),
spesso lunghe e faticose, basate su uno stretto rapporto tra Maestro e discepolo.
Comunque sia, rimane il fatto che non si raggiunge la vera maestria con pochi passi e questo mo-
do sbrigativo di porsi di fronte alla realtà e soprattutto ai processi trasformativi, ha avuto delle ri-
percussioni probabilmente non indifferenti nell’evoluzione personale e collettiva sia degli “iniziati
che dei profani” occidentali (con i loro: “non ho tempo, vado di fretta, forza sbrighiamoci, come
non hai ancora finito? mi ci vorrebbero più di 24 ore al giorno e non basterebbero…ecc. ecc. ecc!)
Non credo sia esagerato affermare che viviamo in una società/civilizzazione di tipo speculativo,
perché si specula ormai in ogni dove, senza voler entrare nei dettagli perché ci porterebbe molto
lontano!
In generale si è passati a una modalità verbosa di affrontare la vita, fatto che si può constatare in
particolar modo nella politica, nell’arte, nella pubblicità, ma non soltanto.
Vale il verbo, la parola che viene presa per realtà, mentre non risulta che esserne l’ombra, il
riflesso e non di rado un’alterazione vera e propria.
D’altronde, ritengo che l’inizio del Vangelo secondo Giovanni sia probabilmente stato travisato,
perché penso che non debba essere:
“Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio”…,
bensì come lo intendeva Eraclito parafrasandolo:
“Nel principio era il Logos, e il Logos era con Dio, e il Logos era Dio”…,
perché Eraclito, almeno da quanto mi risulta, dava al Logos nientemeno che il significato di Legge
Universale !
Perfino la psicanalisi è caduta inizialmente nel tranello del verbalismo, tant’è che si pensava bastasse prendere coscienza, vivere/capire le radici di un disturbo (ovviamente verbalizzandolo) per debellarlo!
Poi si è caduti nell’atteggiamento opposto tramite il comportamentismo,che voleva occuparsi sol-
tanto dell’indizio concreto, del sintomo sul quale agire se pur incompreso nel suo radicamento e
ciò per venire a capo anche di problemi profondi che potevano assillare l’essere umano!
Si era dimenticata , almeno in parte, da un lato la discesa negli inferi, “il visita interiora terrae”,
dall’altro lato soprattutto “il rectificandoque”, vale a dire la faticosa ascesa trasformativa “lungo i
pendii del Purgatorio”, o espresso diversamente, il salto qualitativo nell’agire modificato: “tra il
dire e il fare c’è di mezzo il mare” per giungere a una destinazione accettabile e dove quel “mare”
va preso decisamente sul serio, per trasformare le proprie distorsioni, fluidificare la propria sti-
tichezza mentale e comportamentale, prima di raggiungere il porto dell’ “occultum lapidem”,
dell’assennatezza, della saggezza.
Detto simbolicamente: si tratta di conquistare il “Paradiso terrestre”, uno stato primordiale
non primitivo!), con il ricupero “dell’in-nocenza” e della propria autonomia creativa consape-
volizzata, stato in cui tra l’altro “non-si-nuoce”, soprattutto perché non si è più o molto meno
egocentrici e contorti di prima, o ancora: ci si rende più facilmente e rapidamente conto per po-
terne attutire le possibili conseguenze.
Tutto ciò con un possibile seguito: quello del “Paradiso celeste”, un’armonia composta da un
equilibrio dinamico perfettibile in direzione di livelli superiori, integrali e integrati (“Bio”), ben
lontani dal “trantran quotidiano banalizzato dell’uomo della strada” (con tutto il rispetto parlando).
1.3 Se ci si dirige verso il centro del nostro logo, “l’essenziale della ruota della vita”, si può trovare il progetto da realizzare, quello già accennato della “pietra occulta, detta anche filosofale”, ossia del rinnovamento, della rigenerazione, del risveglio interiore.
È l’occasione per un orientamento, o ri-orientamento (“ab Oriente Lux”), ragione per cui possiamo trovare l’ultimo aspetto della sigla:
1.4 la “vera medicina”, detta pure “universale”, appunto perché attinente alla percezione e all’osservanza delle Leggi Universali e non semplicemente a quelle, per certi versi utili, me create dai limiti della mente egocentrica umana, dalla sua tendenza ad antropomorfizzare la realtà, soprattutto quella estesa.
Forse non è tanto “Dio che ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza”, ma potrebbe darsi che
sia “l’uomo che ha fatto Dio a sua immagine e somiglianza”, proiettandolo poi spudoratamente nel
Cielo, tutto sommato un “non-luogo”!
A questo proposito si potrebbe affermare che:
“l’ignoranza e la stupidità umana sono illimitate, mentre le conoscenze e l’intelligenza sono molto limitate”!
Questo nonostante tutti i voli, le stazioni, i satelliti, telescopi spaziali, quelli giganti terreni nonché i radiotelescopi, i microscopi elettronici, gli acceleratori di particelle e quant’altro, dove c’è chi scruta molto attentamente e seriamente il sottofondo cosmico, magari nella fervida speranza di trovarci “Dio” (o come si è affermato ultimamente: “la Particella Divina” che dovrebbe poi spiegare tutto!)
Dunque una “medicina” che ci può aiutare ad evitare, attenuare o addirittura “guarire” dai processi alienanti e che può essere espressa con il senso contenuto nell’abbreviazione interna del logo:
S A V
(Sahav in ebraico significa oro: sarà puro caso…chi lo sa?), triade che da sempre ci è stata proposta in un qualche modo e “gratuitamente” da diverse parti durante la storia culturale dell’umanità e che Dante ci ha riproposto esplicitamente nel 1° Canto della Commedia (I, 104), il cui significato tratteremo tra poco).
Un “medicamento”, come si usa spesso in medicina, da assumere ben dosato ma più o meno rego-
larmente, composto da elementi al-chemici (cioè che vanno al di là = “al” , dell’aspetto fisico,
materiale = “kimia”), quindi aspetti propriamente meta-fisici, probabilmente in provenienza
dal geroglifico egizio “kemi”, con il significato di “terra nera” che si tratta di trasformare e trascen-
dere, termine che allora definiva l’Egitto stesso (“ma va in Egitto”, si diceva una volta, ora proba-
bilmente per ragioni diplomatiche “ma va’ a quel paese”, per significare suppergiù: ma vattene , smettila con le tue assurdità” e di conseguenza “ignorante, noioso, sparisci, ritorna nella terra nera con le tue incongruenze!).
Desidero ricordare che Dante nel suo Convivio, Trattato secondo, al punto I. proponendoci esempi per ciò che definiva il possibile quarto senso interpretativo delle scritture , quello “anagogico” (l’interpretazione delle sacre scritture in senso mistico, esoterico), diceva tra l’altro:
“…sì come si può vedere in quello canto del Profeta che dice che ne l’uscita del popolo d’Israele d’Egitto, Giudea è fatta santa e libera…non meno è vero quello che spiritualmente s’intende, cioè che ne l’uscita de l’anima dal peccato, essa sia fatta santa e libera in sua potestate…”
Quindi l’uscita dalla “terra nera” (“l’interiora terrae”), dall’inconsapevolezza, o se preferite dall’
ignoranza (nel vero senso del termine d’ignorare), è possibile pure tramite gli strumenti rettifi-
canti della grande triade:
“S A P I E N Z A, A M O R E e V I R T U T E”
Questo per la dicitura verticale, quella degli alti ideali, l’asse delle grandi aspirazioni ideologiche
umane di cui l’AMORE rimane il nucleo, meta-fisicamente parlando: “il misterioso aspetto uni-
ficante, coesivo dell’ Universo”, che forse non è stato inserito per caso al centro della Triade,
quale perno attorno al quale la “ruota della vita gira”:
“…l’amor che move il sole e le altre stelle. ”
come recitava Dante alla fine dell’ ultimo verso del suo poema.
In questa verticalità si possono trovare altre qualità essenziali da coltivare, come per esempio e
tra l’altro:
S silenzio, sobrietà, sincerità, semplicità…
A ascolto, autenticità, autonomia, affidabilità…
V vigilanza, volontà, veridicità…
IX. La scritta orizzontale invece potrebbe rappresentare gli impedimenti che “incrociano” la
verticale, che creano il croce-via e quindi “la croce della crocifissione” (quella sulla quale
in un modo o in un altro siamo tutti inchiodati, croce con il suo indispensabile contraddittorio
complementare, corrispondente a una necessità implicita):
“il Bastian contrario” (in ebraico “Satan”, che significa il contraddittore), irrinunciabile
nella dinamica energetica e non per caso qualcuno (non so più chi) ha definito coraggiosamente
il “diavolo” (da “dia” e “ballo”, getto, pongo di traverso), il “fratello gemello di Dio” (oh, santa
eresia!)
Ed è proprio tra questi due contendenti che l’energia, nella sua differenziazione, tende talvolta
in direzioni, operazioni opposte oppure, tramite i suoi aspetti antagonisti si scontra con sé stes-
sa creando dispersioni, ipertensioni, conflitti fin che non riusciamo a conciliarli e diventare
“tra i due litiganti il terzo che gode”!
Questo ovviamente soltanto se riusciamo a trasformare l’orizzontale, vincolata alle circostanze
per darle, per quanto sarà possibile una connotazione costruttiva, mentre nel caso contrario,
non riuscendo a cambiare le circostanze, è il caso di tentare la modifica del proprio punto di vista.
Ciò significa accettare aspetti ineluttabili dell’orizzontale, come per esempio di essersi trovati, col-
locati in una certa epoca, luogo e area culturale, forse a dover combattere contro alcuni eventi, persone, ideologie oppure per il posto di lavoro, il guadagno necessario per vivere, le condizioni ambientali, familiari, linguistiche, atmosferiche e così via dicendo.
“Modifica il modificabile”, diceva pressappoco San Francesco d’Assisi,
”accetta ciò che non puoi modificare e prega Dio
che ti conceda la facoltà di poter distinguere l’una dall’altra cosa!”
Ecco quindi alcuni dei “mal-fattori” che, in ogni modo se non proprio sul breve, almeno sul lungo termine “fanno-male” sia al singolo che alla comunità:
S A V
superficialità accidia vanità
stoltezza avidità volubilità
superbia avarizia violenza
…e altri ancora, se si cerca sotto cupole alfabetiche diverse.
X. Il progetto centrale, il programma, il contenuto ideologico o come dir si voglia, permette all’
essere umano “di buona volontà” di realizzare progressivamente, ovviamente ognuno secondo le
proprie possibilità e i propri limiti:
L’ H O M O H U M A N U S
che forse in non pochi vorremmo essere, perché strada facendo, attraverso la nostra storia, siamo
diventati via via:
“l’homo erectus, habilis, faber, agricola, bellicosus, religiosus, philosophicus, l’homo politicus” e
tant’altro ancora, mentre dopo il terribile e temibile “homo homini lupus”, manca ancora piena-
mente all’appello ’
L’ H O M O H U M A N U S
Colui che lo è nel migliore dei modi, su vasta scala e non limitatamente a qualche singolo o piccolo
gruppo qua e là, anche se questo è già qualcosa di prezioso: un inizio oppure la continuazione di
quanto si è ripetutamente tentato in passato ma che, visti gli scarsi risultati, va ritentato perenne-
mente anche nel futuro e da qui forse l’utilità delle “bussole” dei “pro memoria”, perché è facile
perdere, ma non è facile trovare o ritrovare “…la diritta via…” !
XI. Infatti, utilizzando lo strumento di lavoro V.I.T.R.I.O.L.U.M, possiamo trovare alcuni
percorsi che portano al Centro, simboleggiati nel logo con i tratti “gialli”, i “raggi” che formano
al tempo stesso la croce diagonale, quella di Sant’Andrea che simbolicamente rappresenta l’a-
spetto umano per eccellenza, il sacrificio volontario, l’accettazione e la sottomissione alle
“Leggi universali” oppure, sempre simbolicamente parlando, l’entrata nel “Paradiso”, “terrestre
prima, celeste poi”.
Vie che possono essere formalmente diverse, perché diverse sono le strutture e inclinazioni
personali degli individui, in modo che “esploratori” differenti, possano trovare un percorso
a loro adeguato, congeniale.
XII. Queste vie si possono considerare come dei “fili d’Arianna”, perché ci aiutano a raggiun-
gere il Centro, ossia l’Essenziale, l’Essere tout court e non l’essere nelle sue modalità specifiche,
che equivarrebbero ai diversi aspetti esistenziali, alle svariatissime applicazioni dell’Essere.
Detto in altri termini: percorsi che ci possono sostenere nell’uscita dal “labirinto”, che in un mo-
do o in un altro la vita immancabilmente ci propone, labirinto che la vita stessa è, caratterizzata
dai nostri quotidiani tentativi di ricercare un equilibrio dinamico, composto da smarrimenti,
talvolta sconforto e perfino disperazione, ma pure da speranze, passi riusciti, illuminanti, libera-
tori che, nonostante tutto e ogni tanto riusciamo a realizzare, come per esempio lo sviluppo di
certe qualità che, come mi sembra, hanno delle connotazioni tipicamente iniziatiche e alle quali
ho già alluso poc’anzi.
Per inciso ne cito ancora alcune, magari ripetendomi (sed repetite juvant), come:
la trasparenza, l’autenticità, la dirittura, l’affidabilità, l’allo- e soprattutto l’olocen-
trismo, la capacità di relativizzare e sdrammatizzare come quella di “disantropomorfizzare”, mobilità nei cambiamenti dei punti di vista, ossia il
sapersi mettere “nei panni dell’altro”, o detto in altre parole la capacità empatica, l’umiltà, la semplicità, il senso dell’unità della vita nonostante la molteplicità dei fenomeni, il senso dell’interdipendenza tra tutto e tutti, l’appartenenza e dipen-denza dall’Universo e dalle sue leggi fondamentali, sia fisiche e di conseguenza anche psichiche che, almeno per l’essere umano, sono per traslato come le due facciate complementari di una stessa medaglia.
Si tratta di qualità che volendo si possono sviluppare: chi più chi meno, chi alcune di esse, chi altre, ma che ovviamente richiedono un certo lavorio. Lavorio per conquistare l’androcultura,
un po’ simile per certe operazioni a quello che richiede un’orticoltura che si rispetta.
È possibile apprezzare questi percorsi pure sotto la denominazione di vie dello Yoga (termine
sanscrito per “giogo” che oramai molti conoscono) e che rappresenta un insieme di discipline, alle quali ci si sottomette per evolvere, nel nostro caso per tentare di “spiritualizzarci”, mettendo soprattutto l’accento “sull’essere e non sull’avere” (parafrasando così un concetto caro a Erich Fromm).
Processi che sono tanto orientali quanto occidentali, almeno per quanto concerne i contenuti, meno per le forme che possono dare invece l’impressione di grandi differenze tra i contenuti.
Processi che, da quando l’individuo si è preoccupato della propria cultura, quella che presta
attenzione e cure particolari alle qualità sia interiori che relazionali dell’individuo e non prevalentemente agli aspetti periferici sottoposti all’ambivalente triade di “fama, possesso e potere”, accompagnano la nostra cultura da secoli se non da millenni.
Con il termine Yoga, nel senso appena citato, quindi non soltanto in quello della tradizione induista, si può anche definire quelle discipline nelle quali ci si sottopone, come accennato, ad
un allenamento specifico (specie di training che da esistenziale può divenire essenziale).
Lo si pratica sottomettendosi al “giogo” consistente in una certa fatica e talvolta anche sofferenza
(“che non viene per nuocere”), questo per conseguire la realizzazione di “Sapienza, Amore e Virtù”, nell’estensione e profondità che ognuno di noi, con le proprie possibilità ed i propri limiti riesce a raggiungere.
Queste qualità sono rappresentate nel logo iniziale dalle aree verdi circostanti.
Dunque, sempre in senso figurato, rappresentative “delle aiuole del nostro giardino interiore” che,
in rapporto con il “Gan-Eden” veterotestamentario, viene definito da un lato in tanto quanto “il Paradiso”, ma descritto da un punto di vista più esoterico come “il giardino delle delizie, del ricreamento dell’anima”.
Però, come qualsiasi giardino che si rispetta, dev’essere perennemente curato per non rischiare
di ritrovarlo infestato “dalle erbacce e dai rovi”.
A questo proposito, suppongo valga la pena d’inserire un antico detto indù:
“Pensi che la Saggezza
sia come un fiore da cogliere?
Non è così:
è una grande montagna
che dev’essere scalata!”
Per fare eco a questo detto si potrebbe anche immaginare la “Bussola” a forma di piramide, un
po’ come “una montagna” che si erge a partire dalla periferia, dal fondo valle verso il centro oppure espresso diversamente, verso le vette di una ricerca interiorizzata (le “peak experiences” come le definiva il collega statunitense A. Maslow), mentre nella nostra civilizzazione si è più preoccupati di scalare le cime degli ottomila (lasciando inoltre sui loro pendii innumerevoli rifiuti inquinanti) !
Rifiuti che per esempio e tra l’altro, potrebbero consistere nella “negazione delle proprie respon-sabilità e la loro proiezione su terzi”: realtà che si può collocare tra le nostre erranze fondamentali
più perniciose, molto ben descritte simbolicamente nel mito biblico di Adamo, Eva e il Serpente,
come primo e basilare conflitto tra gli esseri umani, nonché tra questi e “le Divinità” (l’Elohim
veterotestamentario è paradossalmente un plurale)! Detto con termini più attuali: “rifiuti” che
sono in contrapposizione con le “Leggi implicite della Vita” e molto probabilmente l’inizio del nostro smarrimento, del nostro processo di alienazione.
XIII. Ma così come vi sono delle vie principali in una città che si rispetta, similmente avviene per
i percorsi spirituali e, a titolo di esempio, possiamo trovare tra l’altro la via che utilizza inizial-
mente e prevalentemente gli aspetti naturali e la corporeità per poter procedere:
vedi le arti marziali, danze Sufi, Hata-Yoga, Tai Ci Ciuan, Ci Cung, Training Autogeno, Orticoltura
e diversi altri tipi di lavoro o perfino di svago, in particolare di artigianato, nonché alcuni sistemi
d’igiene e cura della salute…
È importante che gli strumenti utilizzati in questa prima via non diventino fine a sé stessi, ma tra-
scendano il loro percorso specifico, mirando alla realizzazione del progetto centrale
S A V
citato e descritto precedentemente.
Si tratta in particolare di metodi che si prefiggono di sviluppare, salvaguardare e gestire al meglio la propria energia, la propria salute che ci permette poi un’equilibrata anche se relativa autono-mia, base di tutte le ulteriori operazioni esistenziali ed essenziali a cui stiamo cercando di aspira-re.
È la cura del nostro organismo, il suo stretto rapporto con la natura e le sue leggi, attuata con l’igiene corporea in senso lato (quella vincolata ad esperienze di purezza, forza, equilibrio ed integrità del nostro corpo), che potrebbe anche incidere, sperando che ciò avvenga prima o poi, sull’elevazione qualitativa delle caratteristiche mentali e comportamentali.
Ci troviamo di fronte a tappe da conquistare progressivamente, attraverso fasi iniziali di “mate-rialismo ed egocentrismo”, perfettamente normali e legittime soprattutto durante l’infanzia e l’adolescenza (ma che molti adulti inconsapevoli portano avanti inalterate, talvolta vita natural durante).
Fasi necessarie per preparare dei “campi base” affidabili, prima di poter procedere verso “le alte cime” della comprensione e realizzazione spirituale, da un lato quella interiorizzata, dall’altro
lato quella attuata nei confronti delle contingenze quotidiane che dovrebbero poterne testimo-niare…ciò che non è dir cosa da poco (vedi pure le correnti di tipo ecologico).
XIV. Un’altra via potrebbe essere quella che mette l’accento sugli aspetti psicologici, della ricerca mentale, più interiorizzata per rapporto alla via precedente che, come accennato, è prevalentemente rivolta al mondo degli oggetti, all’aspetto somatico, di utilizzo dell’energia, di padronanza dell’organismo, rispettando le sue esigenze legittime, il suo rapporto con la natura.
Questa seconda via si occupa prevalentemente della cultura della vita interiore, per esempio tramite l’introspezione, l’analisi delle motivazioni e dei conflitti, ma pure dei progetti, dei sogni
a occhi chiusi e/o aperti, dei desideri, delle proprie fantasie, ecc. e che procede anche all’analisi di ciò che si vorrebbe essere, magari ci si atteggia di essere, oppure ancora che si pensa di dover essere per adeguarsi alle aspettative altrui, alle circostanze.
Ma può comprendere pure la vita relazionale in senso stretto, quella individualizzata, persona-lizzata.
Questo processo può avvenire attraverso un’accurata osservazione e riflessione “con il paziente soffermarci sugli eventi senza sovraimprimerli, senza aggredirli , ma per rivederli attentamente affinché ci parlino, sprigionino il loro contenuto, il loro significato” (parafrasando così un detto del monaco buddista Nyanaponika).
Ma può succedere pure tramite la prospezione psicologica professionale, la psicoterapia, per esempio quella di estrazione Junghiana (pure quelle “Transpersonale” e “Integrativa” che, per quanto ne sappia, da noi non vengono ancora praticate, bensì negli USA e in Germania-Austria), forse più vicina di tante altre ai processi di spiritualizzazione: o ancora tramite modalità simili, sia attuali oppure radicate nel passato, come per esempio in certe tappe dello “Raja-Yoga, che comprende in tutto otto livelli e di cui, nelle tappe “inferiori” (si fa per dire), è pure integrato lo Hata-Yoga citato poco fa.
Questa “elaborazione” mira alla comprensione dei fenomeni intimamente umani (intrapersonali),
ma pure relazionali in senso stretto (interpersonali), alle cause del loro manifestarsi, operazione
che tende quindi alla consapevolizzazione, allo spesso citato e ripetuto “conosci te stesso…”
di provenienza eleusina (antica Grecia).
Va sottolineato che i metodi cosiddetti “corporei”, citati poc’anzi, possono essere praticati favo-revolmente durante ogni altro percorso, sia come base permanente, accompagnamento collate-rale, oppure stimolo a carattere analogico (simbolico) .
La nostra individualità è inscindibile (in-divisibile), ragione per cui la natura che ci accoglie e
“la corporeità, non che abbiamo, ma che siamo” (per utilizzare un termine caro a Karlfried Graf Dürckheim), rimangono indissociabili da altre funzioni che possono dispiegarsi ad un certo momento del nostro percorso globale!
XV. La terza via, che pone l’accento sull’aspetto sociale, quello dei rapporti in senso lato, com-
preso quello istituzionale, potrebbe essere il percorso dello spirito veramente democratico: quello
delle interdipendenze singole e collettive, che stabilisce i vari modi di relazionare tra gli esseri umani, il loro porsi responsabilmente di fronte ai problemi comuni soprattutto di tipo coope-rativo, di servizio, di utilità pubblica, riguardanti l’interesse della comunità (l’allo- o altero-centrismo) e non in modo primitivo, semplicistico, quello del tornaconto individuale (dell’ egocentrismo), spesso conseguito tramite la “furbizia”, spesso confusa e a torto con l’intelligenza (“fatti furbo”: mentre la persona veramente intelligente non può “farsi furba”!)
Si tratta di democrazia politica ed economica, mentre attualmente le democrazie risultano essere
prevalentemente di tipo politico (ideologico, con libertà d’espressione, referendum, votazione, di-
ritti, doveri, ecc.), mentre lo spirito e l’assetto economico è ancora di natura prettamente oligar-chica, ossia centrata sul tornaconto individuale e/o di certi gruppi di potere, con i messaggi oc-culti o perfino espliciti del “fatti furbo, raccogli il più possibile, visto che legalmente ti è conces-so” (e troppe cose sono legalmente concesse!), ciò che tutto sommato significa derubare l’altro, adattare o circumnavigare la legalità, anche se in definitiva, sul lungo termine, risulta essere
uno svantaggio per il prossimo e le collettività!
Vera democrazia (leggi sempre allocentrismo) si manifesta con la trasparenza, il rispetto altrui,
la non manipolazione dell’altro come se fosse un oggetto, il desiderio di non vivere soltanto per
sé stessi, ma se del caso pure in modo disinteressato per rapporto a terzi.
La si può praticare tra l’altro nell’aiuto al prossimo che ne abbisogna: nei confronti della popo-lazione lavoratrice meno abbiente che stenta a sbarcare il lunario, di persone interiormente smarrite, degli anziani, dei nullatenenti, degli invalidi, degli ammalati, dei perseguitati, dei disoccupati, degli orfani, oppure all’interno di opere assistenziali, di movimenti religiosi, politici
o altri, purché siano attivi per la salvaguardia di aspetti della vita di particolare interesse per l’essere umano in generale.
È pure la via di quello che si potrebbe definire il “Karma-Yoga”, quello delle azioni, delle opere, ma sempre senza intenzioni equivoche, nello spirito transpersonale (dell’essere centrati in modo equilibrato anche sugli altri) , che in un qualche modo si ricollega, e mi sia concessa anche questa digressione, al “Bhakti-Yoga”, ossia alla via dell’amore, della devozione disinteressata, percorso che la maggior parte delle grandi religioni cercano di proporre ai loro fedeli, anche se con varianti, risonanze ed esiti spesso poco corrispondenti ai progetti, questo sia per la natura contradditoria dell’essere umano,
sia per quella delle istituzioni, che sfociano spesso nell’essere “fine a sé stesse”!
XVI. E giungiamo così alla quarta via che si potrebbe definire spirituale, ideologica, perché prevalentemente attinente al mondo delle idee, delle alture dello spirito umano.
A scanso di malintesi, non si tratta di un concetto di valore (aspetto qualitativo), bensì di livelli
(aspetto quantitativo): un essere umano che ha raggiunto gli 8’000 m, in quanto tale non vale più di qualcuno che si trova a livello del mare, a parte il fatto che anche colui che è salito a 8’000 m deve tornare ad altri livelli per poter sopravvivere.
“Sulle cime, dove l’aria è più rarefatta sia esteriormente che interiormente” (regioni d’altronde non accessibili a tutti indistintamente), si può commettere errori nella scalata delle pareti roc-ciose, oppure smarrirsi nel campo delle astrazioni ideologiche.
Il concetto di via spirituale, anche se ai nostri giorni, ma forse da sempre risulta alquanto abusato, perché distolto dal suo senso originale e simbolico di tipo pneumatico (no no, qui Pirelli, Michelin, Dunlop, ecc. questa volta proprio non c’entrano), è relazionato all’aria, alla respirazione che in altre parole significa rapporto di scambio, considerato qui per estensione con gli aspetti più profondi (o elevati) della vita umana, anche perché si potrebbe affermare per traslato che “l’Universo respira” (“Big Bang – Big Rip – Big Crunch” = espansione – probabile lacerazione e poi contrazione della materia, molto probabilmente ad infinitum, da sempre a sempre nel cosiddetto “Universo pulsante/oscillante”).
Si tratta di un percorso prevalentemente attinente a problemi religiosi e filosofici, mistici e metafisici (esoterici), non di rado a carattere assolutista e concernenti “le prime ed ultime questioni” (gli aspetti cosmogonici ed escatologici), circa la vita in generale, senza però omettere l’indispensabile integrazione nella vita quotidiana, per poter ipotizzare di aver attuato almeno
una parziale realizzazione del nostro potenziale edificante.
Il processo di spiritualizzazione, è un modo di essere che tenta di ristabilire il senso dell’unità nella molteplicità, di creare la sintesi nella dispersione, di debellare le scissioni di superficie, che in definitiva possono essere considerate come apparenti, perché nell’ordine fondamentale impli-cito tutto appare interdipendente, tutto vincolato a tutto.
Processo che può aiutarci a distinguere l’esistenziale dall’essenziale, il relativo dall’assoluto, svolgendo il tacito ruolo di antidoto contro gl’invadenti e progressivi processi di alienazione, caratteristici soprattutto per questi ultimi secoli della nostra storia (anche se non c’è da inor-goglirsi di un passato più remoto…)
Si potrebbe affermare che questo percorso corrisponde a quello dello “Jnana-Yoga”, definito pure la via della conoscenza che, trascesa come nello “Raja-Yoga”(“l’Ottuplo Cammino Reale”), può portare all’intuizione di una realtà unica e infinita che, nella tradizione induista di cui fanno parte le vie dello Yoga tradizionale, viene denominata Brahman.
A questo proposito mi sia concessa di nuovo una breve escursione perché quest’ultimo concetto,
credo valga almeno una breve precisazione, perché vuole corrispondere all’eterno, intramontabile
assoluto, la più elevata realtà non-duale (sempre secondo il Vedanta, una delle più autorevoli
“sacre scritture” della tradizione indù) e corrisponde quindi alla cosiddetta “Coscienza assoluta o
universale”, irraggiungibile dal nostro pensiero, almeno secondo quanto si afferma nell’ambito
degli “addetti, ma talvolta anche dei meno addetti ai lavori”.
Senza Brahman l’esistenza sarebbe inconcepibile ed è dunque la base di tutto, anche della divinità-funzione che viene definita Brahma (due termini che non vanno confusi), infatti Brahma corrisponde suppergiù al nostro concetto di Dio creatore, mentre Brahman lo trascende e al tempo stesso lo include, come “l’indefinibile Tao” oppure il “Grande Vuoto” dei taoisti cinesi:
“Il Tao che può essere definito non è l’eterno Tao,
il Nome che può essere nominato non è l’eterno Nome”
(dal Tao-Te-Ching, di Lao-Tze, parte prima, inizio del 1° aforisma).
Brahma infatti, come succede pure per altre architetture religiose, viene conglobato in una Grande Triade (in questo caso nella Trimurti), ragione per cui è accompagnato e rimane inscindibile da “Vishnu” il “Conservatore” delle forme, nonché da “Shiva” il “distruttore”, oppure in una visione più ampia e profonda il “Trasformatore” delle medesime.
Ma a parte queste precisazioni, si tratta di una via che alla fin fine può sfociare sulle visioni mistiche o intuizioni filosofiche, ovviamente nell’ambito dei limiti posti al rapporto che, a secondo della nostra predisposizione e delle nostre possibilità, stabiliamo con “le Leggi Supreme”, ossia gli aspetti universali: l’incomprensibile, indefinibile mistero della vita, “il Mistero Supremo, Porta di ogni Meraviglia”…(come recita il Tao-Te-King di Lao-Tze, sempre nel 1° aforisma, estratto da diverse traduzioni ).
N.B. Personalmente ritengo la meditazione, quella atematica (priva di temi, immagini, attività mentali qualsiasi), lo strumento privilegiato e fondamentale per bussare al portale di questa quarta Via e, una volta entrati in questo “territorio”, per farsi sostenere e accompagnare nella ricerca dell’essenziale, soprattutto del suo indefinibile vissuto.
Propongo brevemente un’immagine che forse potrebbe rendere meglio l’idea di ciò che cerco di descrivere:
– pensate a un disco o meglio ancora ad una sfera, la cui circonferenza corrisponde alle circostanze in cui viviamo quotidianamente, solitamente in modo piuttosto superficiale (e che corrisponde all’aspetto esistenziale).
La meditazione atematica è quell’azione che invece ci invita ad entrare e dirigerci verso il centro
(“in media res”), in cui si può incontrare l’essere nella sua “purezza”, dove rimane spogliato da tutte le contingenze e quindi non siamo più congolesi o irlandesi, belli o brutti, grandi o piccoli, intelligenti o stolti, ricchi o poveri, santi o peccatori, ma bensì “siamo” , punto e basta. È questo stato che ci unisce tutti indistintamente, il resto (come per esempio le arbitrarie scale di valori) ci separa!
È una posizione centrale equidistante dalla periferia, da tutti i dettagli esistenziali che ci assorbono quotidianamente e che con questo tipo di meditazione si cerca di neutralizzare e, al tempo stesso, di trascendere per uscire tra l’altro e almeno periodicamente dalla nostra eccessi-
va tendenza all’antropomorfizzazione (ossia nel ridurre l’Universale all’umano, o a proiettare l’umano nell’Universale), e poter vedere con più chiarezza la realtà che giace in profondità sotto le apparenze.
Ma attenzione: non si tratta di un trascendere esclusivo, assoluto, bensì di un collocarsi in uno stato di “trascendenza-immanente” (espressione cara a K.G. Dürckheim), che si potrebbe pure definire “trascendenza-inclusiva”, ricordandoci l’idea poc’anzi esposta di Brahman inclu-sivo di Brahma, Vishnu e Shiva.
XVII. Ideale sarebbe quindi l’utilizzo delle 4 vie, rappresentate nel logo con “i sentieri tra le aiuole del giardino simbolico”, anche se non necessariamente contemporaneamente, bensì pure in modo più o meno alternato a secondo delle dinamiche, delle situazioni, dei luoghi, delle nostre possibilità e delle svariate circostanze che la vita ci propone.Queste vie si completano a vicenda, allargano e al tempo stesso approfondiscono il nostro “orizzonte”, offrendoci delle opportunità molto più estese del singolo percorso, si potrebbe dire addirittura che “universalizzano” la nostra presenza nel quotidiano, solitamente assai riduttiva.
Infatti e come accennato, le diverse possibilità d’accesso a queste vie corrispondono ad individui con tendenze personali specifiche, soprattutto all’inizio del processo evolutivo, differenze che tendono ad attutirsi successivamente con l’incremento del processo di consapevolizzazione, differenziazione, maturazione, spiritualizzazione.
Ciò significa che ognuno di noi deve scoprire quale via, quale veicolo a un certo momento della propria esistenza gli è più congeniale, a costo di utilizzare in questa ricerca non poche energie, tempo ma talvolta anche spese non indifferenti.
Elementi che a prima vista possono sembrare sprecati, ma in verità collaborano non di rado ad ottenere i risultati auspicati, soprattutto sul lungo termine.
XVIII. Oltre la scelta felice o semplicemente più o meno adeguata dei mezzi, spesso dipendenti da circostanze che ci sfuggono, non bisogna perdere di vista gli obiettivi, che rimangono supper-giù quelli già citati, qualsiasi possano essere i nomi e gli strumenti utilizzati:
la SAPIENZA (leggi pure sagg-ezza = l’essere-saggi) concerne soprattutto l’area in cui, a partire
dalle proprie esperienze, dagli as-saggi esistenziali che ci procurano il sapo-re delle vita, si cer-
ca di estendere e approfondire la realtà e con ciò la qualità di comprensione della medesima,
delle sue leggi e del suo funzionamento, per poter predisporre le trasformazioni, qualora si avverassero necessarie e/o ambite, nonché possibili;
l’AMORE (leggi pure bene-volenza, “l’a-mors”, ciò che è contrario alla morte soprattutto dell’anima, o come diceva E. Fromm: “la Biofilia” versus la “Necrofilia”) che concerne “il regno” in cui si cerca di coltivare ed elevare la qualità relazionale con la vita, con il suo orientamento e la sua intensità e questo sia con i propri simili, ma ugualmente con ciò che a prima vista potrebbe non apparire tale (individui appartenenti ad altre razze, religioni o sistemi politici, animali, pian-te, la natura stessa in generale, il mondo, l’Universo), senza dimenticare che nell’Universo l’aspetto unitivo, che appare fondamentale per la sua coesione, può manifestarsi a livello della cultura umana appunto attraverso
l’a-more, la bene-volenza la sim-patia!);
le VIRTÙ (o “Virtute” come diceva Dante: leggi pure la forza della volontà, del carattere, anche della determinazione morale), che concernono la dimensione in cui si cerca di elevare la qualità dei propri progetti, intenzioni, comportamenti, dando un’impronta ben precisa alle nostre azioni, tramite “un allenamento” basato sulla volontà di realizzare i contenuti delle nostre scelte e deci-sioni, senza abbandonarli come apolidi a un livello virtuale oppure, peggio ancora, lasciarli scivo-lare nella decadenza (ossia nella lascivia, nel vizio!)
XIX. Per ultimo è forse utile tenere presente che ogni evento (incontro, reazione, perfino ogni momento), per quanto privo di significato possa sembrare, è un’occasione per aumentare il livello
qualitativo della grande triade “ S A V “, anche se magari al momento l’aumento qualitativo,
ovviamente senza disprezzare quello quantitativo, complementare, non comporta che misure minime (se di misurazione si può parlare…).
In definitiva si tratta di procedere come se fossimo un’opera d’arte che, a partire da una bozza, da un progetto, si può completare e ritoccare strada facendo, in modo d’aumentarne poco
a poco la perfezione, da un lato attraverso la crescita della nostra facoltà di comprensione, dall’altro lato con la limatura dei nostri modi di essere, qualunque sia lo strumento utilizzato per la rettifica della nostra forma, purché ciò avvenga con il dovuto impegno, la dovuta serietà, sincerità e umiltà, chiavi privilegiate e direi indispensabili per accedere alla realizzazione e qualifica del
“H O M O H U M A N U S”
in ogni modo e non semplicemente per attuare colui che risponde presente per chiedere scusa, o per giustificarsi con la dicitura:
“errare humanum” , ma colui che, cercando di evitare il “sed perseverare diabolicum est”, pone e
privilegia nella sua ricerca il
“P E N S A C I, E L A B O R A, T E N T A, R E A L I Z Z A, P E R F E Z I O N A …”
(parafrasando il detto “ora et labora“)
Fine della monografia…
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